LA MENTE UMANA – L’udito e lo spazio
Nei post “I sette sensi” (quie qui) abbiamo descritto le nostre fonti di informazioni primarie, i sensi, e tra questi l’udito. Abbiamo visto che il suono non è altro che un flusso di onde sonore, cioè di onde di energia generate dalla vibrazione di un corpo che si propagano attraverso l’aria e hanno frequenze percepibili dall’orecchio umano, l’organo preposto a udire. Quando le onde sonore colpiscono il padiglione auricolare, vengono convogliate nell’orecchio interno, amplificate e trasformate in impulsi elettrici (il linguaggio del cervello) dalla coclea. Attraverso il nervo acustico, gli impulsi raggiungono quell’area del cervello che si occupa di tradurli in informazioni comprensibili.
Nel post “Il senso dell’udito e il senso del tempo” abbiamo esaminato la caratteristica forse più straordinaria del senso dell’udito: la percezione temporale degli eventi. Se con la vista percepiamo dove sono le cose, con l’udito capiamo quando si verifica un evento.
Noi esseri umani siamo animali visivi, non c’è dubbio, siamo stati selezionati in questo modo attraverso la nostra evoluzione, ma con l’udito integriamo la nostra percezione visiva e risolviamo parte delle sue limitazioni. Mentre la vista ha maggiore definizione e un campo di visione limitato, l’udito ci permette di controllare costantemente l’ambiente intorno a noi a 360° gradi. Le orecchie ci permettono di sapere da dove provengono i suoni intorno a noi e individuarne le fonti con sufficiente precisione.
Come ci riusciamo?
Mentre gli occhi offrono milioni di canali di informazioni per determinare la posizione di un oggetto, l’udito è limitato a solo due canali: i timpani delle orecchie. E’ più o meno come individuare la posizione di un pesce dalle onde che arrivano a riva. Il cervello riesce a farlo sfruttando le differenze tra le due orecchie (differenze interaurali):
1) le differenze di tempo: il suono arriva prima all’orecchio più vicino e in ritardo a quello più lontano;
2) le differenze di livello (o intensità): il suo risulta più intenso all’orecchio più vicino e smorzato a quello più lontano;
3) le differenze di spettro: la direzione di provenienza influisce su come il suono viene riflesso dall’orecchio esterno, alcune frequenze vengono amplificate, altre attenuate.
Le prime due differenze permettono al cervello di individuare la direzione del suono sul piano orizzontale con una buona precisione in assenza di distorsioni ed echi, mentre la differenza di spettro viene utilizzata per localizzare le fonti dei suoni sul piano verticale, nella terza dimensione. Tra l’altro le differenze di spettro sono amplificate dalle differenze tra le due orecchie: le forme diverse delle due “pinne” (orecchie esterne) distorcono diversamente le vibrazioni sonore e il cervello percepisce e sfrutta questa diversità.
In presenza di conflitti è la differenza di tempo che domina in quanto più affidabile, mentre la più ingannevole è la differenza di spettro. La nostra esperienza ci conferma che l’udito è abbastanza preciso nella determinazione della direzione, mentre lo è molto meno nella determinazione dell’elevazione della fonte del suono.
La distorsione più frequente del suono è la presenza di eco, la maggior parte degli ambienti produce eco, anche quelli di casa nostra, ma il nostro cervello è capace di riconoscerlo e ignorarlo.
Come ci riesce a distinguere tra il suono originale e le riverberazioni provenienti da direzioni diverse?
In presenza di echi in ritardo di più di 50 millisecondi (eco classico), il cervello identifica le copie del suono, anche se distorte, dal ritardo e dalla somiglianza, mentre in presenza di ambienti piccoli con echi con ritardi minimi, minori di 30-50 millisecondi, il suono arriva raggruppato con gli echi e il cervello riesce a identificarlo e distinguerlo considerando solo la parte iniziale del suono (“effetto precedenza”). Se vuoi verificare come funziona la cosa, mettiti di fronte a un muro e batti le mani avvicinandoti ad esso. Oltre una certa distanza percepirai la differenza dei suoni, al di sotto non ti sarà possibile, ma riuscirai comunque a identificare il suono originario con precisione.
Tornando al meccanismo di localizzazione, è opportuno sottolineare che più un suono è ricco di informazioni, più è facile localizzarne la fonte. Per esempio, più frequenze contiene un suono, più è semplice sapere da dove proviene. Inoltre la possibilità di orientare la testa, destra-sinistra, su-giù, permette di individuare con maggiore precisione la fonte del suono, attraverso la valutazione della variazione delle differenze tra le due orecchie. E’ quello che fanno molti animali che usano l’udito per individuare prede o minacce.
A livello cerebrale, la localizzazione dei suoni è affidata in prima istanza a un’area precisa del tronco encefalico, le cui cellule elaborano gli stimoli provenienti dalle orecchie per dare una risposta rapida, come l’attivazione di un rapido movimento del capo, in presenza di suoni sconosciuti o allarmanti.
Cosa te ne pare?
Madre natura ha sviluppato attraverso la selezione un senso che solo in apparenza è secondario e limitato e le cui funzioni sono più ampie della semplice localizzazioni delle fonti sonore. Riassumendo quanto visto finora, la nostra capacità di localizzazione tramite l’udito è limitata, ma veloce, e dipende dall’elaborazione delle differenze tra le informazioni raccolte dai due canali uditivi.
Molto ci sarebbe ancora da dire, ma per stasera ci fermiamo qui. Se hai domande o precisazioni, non esitare a lasciare un commento.
A presto ;D
[…] nel ventre materno e le relative regioni cerebrali sono le prime a svilupparsi. Infine nel post “L’udito e lo spazio” ne abbiamo studiato i limiti spaziali: l’udito ci permette di controllare costantemente […]