Disobbedire

Disobbedire

16 Novembre 2016 0 Di Pier


La maggior parte degli esseri umani cresce imparando a obbedire, a fare cioè quello che gli altri gli dicono di fare.

Non è così?

Pensaci meglio. Quando usciamo dalla prima infanzia i nostri genitori cercano di tenerci sotto controllo, timorosi che ci facciamo male nella nostra esplorazione del mondo, spesso innervositi o insofferenti dalla nostra voglia di scoprire, dall’iperattività, dalle domande senza fine, dalla disobbedienza istintiva con cui rispondiamo alle loro richieste. Cavolo non siamo venuti al mondo per stare buoni sotto le loro gonne.

E loro alzano la voce, alzano le mani, o ci inondano di parole con cui manipolano la nostra visione del mondo, o più semplicemente ci annoiano a morte con un mucchio di regole. Comunque ci costringono a obbedire a loro, che tanto ci vogliono bene, che sanno come va il mondo: da come si legano le stringhe delle scarpe, a come si attraversa la strada, da cosa farai da grande, a cosa è giusto per te.

Poi cresciamo e ci mandano a scuola, dove impariamo molte cose: fiumi di nozioni, a socializzare e relazionarsi con gli altri, a conoscere il mondo, ma soprattutto impariamo a obbedire e conformarci. Ti sei mai chiesto lo scopo della campanella? Delle note? Del discorso del preside? E del crocifisso? Del voto in condotta? E dell’appello di inizio ora? Delle minacce di mandarti dal preside? Delle punizioni? Del voto e della competizioni tra studenti? Chi risponde? Io, io signora maestra…

La scuola ci forma per lunghi anni a stare nei ranghi, a essere parte di una classe, di un gruppo, parte di qualcosa di più grande che vive grazie a noi, se noi gli diamo il nostro tempo e la nostra obbedienza. E il gruppo ha bisogno di qualcuno che lo guidi che dice cosa fare e cosa pensare. Sì, la scuola ci insegna a studiare e ogni tanto anche un mestiere, ma soprattutto la scuola ci insegna a obbedire.

Ma i nostri genitori sono anche religiosi e quindi ci insegnano la loro religione, ci insegnano che dobbiamo credere e ci mandano in chiesa, a catechismo, dove ci insegnano cos’è Dio, che lui è la riposta a tutto, ci insegnano perché dobbiamo avere fede, come dobbiamo vivere la nostra vita, cosa dobbiamo desiderare dalla vita e molto altro. Ma soprattutto ci insegnano a obbedire, prima a Dio, che ci ama tanto, poi a chi ce lo rivela, alle persone più vecchie e sagge che sanno cos’è bene e cos’è male.

Dopo aver finito la scuola arriva l’età adulta e arriva il mondo del lavoro. E ci cerchiamo un lavoro perché i nostri genitori ci hanno insegnato cos’è la vita e come dobbiamo viverla: studiare, poi lavorare quarant’anni se va bene, sposarsi, fare figli, crescerli come ci hanno insegnato e poi andare in pensione per godersi la vita. Godersi la vita a sessantacinque anni se va bene, poi a settanta, ottanta e novanta, se va bene. Non c’è qualcosa di sbagliato in questa visione della vita?

Anche la scuola ci ha preparato a vivere nel mondo del lavoro, se va bene, ma il mondo del lavoro non è mai quello che ci hanno raccontato, eccetto l’obbedienza e l’ipocrisia. Il mondo del lavoro è una prigione di menzogne in cui vendiamo il nostro tempo, la maggior parte della nostra vita per poter esistere e vivere nella società. Ci insegnano che è l’unico modo di vivere, di guadagnarci da vivere, ma in realtà arricchiamo altri con il frutto della nostra fatica, fantasia, e intelligenza.

Certo se muori di fame, se non hai nulla sei costretto a trovarti un lavoro, ma ci sono alternative. Per esempio perché a scuola ti insegnano a fare il dipendente, o al peggio il professionista, perché non ti insegnano a fare l’imprenditore o il leader? Perché il mondo del lavoro ostacola i giovani che vogliono fare gli imprenditori? Ma anche il professionista e l’imprenditore sono intrappolati nel mondo, nell’attività che si costruiscono intorno.

Non tutti, certo, una minoranza sa, riesce, ma la maggioranza si ritrova a porsi domande inquietanti dopo aver speso buona parte della loro vita a diventare qualcosa che non hanno voluto. A seguire gli insegnamenti dei genitori, della scuola, dell’esercito, della squadra, della chiesa, a spendere la vita per raggiungere obiettivi che non hanno voluto loro, a diventare noi stessi parte di qualcosa di più grande che ha bisogno della nostra obbedienza per esistere: stato, chiesa, partito, azienda, cooperativa, squadra di calcio, eccetera. Ecco perché ci insegnano a obbedire.

E se non obbediamo, se disobbediamo, veniamo puniti. Da bambini con uno schiaffo, da adolescenti chiudendoci in casa o togliendoci il computer, da grandi con multe o la prigione. La disobbedienza è considerata come un difetto, come un colpa. E’ così?

Cos’è la disobbedienza?

La lingua italiana ci dice che la disobbedienza è un atto con cui si disobbedisce a un ordine, ai genitori, alle leggi, a un regolamento, alla Chiesa. Chi disobbedisce viene considerato come un asociale, un delinquente, un ingiusto, un egoista e profittatore.

Disobbedienza trova connotazione positive solo come disobbedienza civile non violenta a leggi ingiuste, come per esempio la disobbedienza insegnata da Gandhi in India contro il governo britannico, o l’obiezione di coscienza, o il non pagare tasse ingiuste, o violare le leggi che limitano le libertà fondamentali. La disobbedienza come difesa estrema da leggi che consideriamo ingiuste. Martin Luther King diceva che “si ha la responsabilità morale di disobbedire a leggi ingiuste”.

Quindi la disobbedienza è positiva se non è violenta e se lo si fa per la giusta ragione, ma qual è la ragione giusta? Quella rivolta al bene dei molti?

E’ giusta la disobbedienza non violenta alle leggi di una società che ci manipola fin da piccoli per essere quello che vuole qualcun altro?

La disobbedienza è un atto di libertà.

Erich Fromm diceva che “L’atto di disobbedienza, in quanto atto di libertà, è l’inizio della ragione.”

La disobbedienza è una virtù.

Oscar Wilde diceva che “la disobbedienza, agli occhi di chiunque abbia letto la storia, è la virtù originale dell’uomo. È attraverso la disobbedienza che il progresso si è realizzato, attraverso la disobbedienza e la ribellione.”

Esseri umani informati, consapevoli, liberi e responsabili devono disobbedire alle regole scritte e non scritte di questa società che li schiaccia, li intrappola in vite che non hanno scelto, li consuma per il vantaggio di pochi e per poter continuare a esistere.

Ognuno di noi ha il diritto di poter realizzare se stesso, ma la maggior parte di noi non comprende la realtà in cui vive, la manipolazione che ha subito e subisce ogni giorno, che è qualcosa di più grande e sorprendente del nome sulla carta di identità, di quello che gli altri pensano di lui, perfino del volto che si affaccia allo specchio ogni mattina.

Sii disobbediente, sii consapevole.