Cos’è la COMPASSIONE?

Cos’è la COMPASSIONE?

31 Gennaio 2013 0 Di Pier

Nel postEmpatiaabbiamo studiato l’empatia, la capacità di riconoscere, comprendere e condividere le emozioni altrui, una caratteristica che quasi tutti gli esseri umani posseggono, a eccezione di chi soffre certe patologie mentali, fondamentale per lo sviluppo dell’emotività umana e per poter instaurare e gestire rapporti sociali soddisfacenti. Abbiamo visto che lempatia è
una
predisposizione naturale che si sviluppa in tenera età attraverso il rapporto con gli altri esseri umani, principalmente con i nostri genitori. L’empatia è la base su cui poggiano le relazioni tra esseri umani. Non può esistere una relazione significativa senza empatia.

Stasera vorrei fare un passo ulteriore nello studio della socialità umana e soffermarmi brevemente su un sentimento particolare che noi esseri umani siamo capaci di provare: la compassione.

Cos’è la compassione?

Una volta ancora partiamo dalla lingua per comprendere il significato delle parole: la parola compassione deriva dal latino “Cum Patior” che significa “soffro con”. Nella lingua italiana, compassione ha diversi significati: è un sentimento di partecipazione al dolore altri, ma è anche un sentimento di disapprovazione verso comportamenti negativi, e spesso viene utilizzato impropriamente come alternativa alla pietà (la pietà è una reazione mentale alle emozioni provocate dalla sofferenza altrui che mira a garantirci il distacco da chi soffre).

Restando sul significato principale, la compassione è il sentimento di partecipazione personale alla sofferenza altrui, chi lo prova sente anzi condivide la pena degli altri e prova il desiderio di alleviarla. Viene considerato dalla filosofia come una delle massime espressioni dell’amore spirituale, mentre per il buddismo la compassione è l’amore universale per il genere umano e sente compassione chi si è elevato dall’emotività e dall’ego a una consapevolezza superiore.

Quando proviamo compassione?

Si può provare compassione di fronte a un lutto, a una grave malattia, o a qualunque incapacità che provoca sofferenza nel nostro prossimo e che provoca in noi un’analoga sofferenza e l’impulso a prestare aiuto.

Attenzione, ho detto “può provare” perché non è una reazione automatica: per quanto spontaneo non è un sentimento comune a tutti. Posto nelle stesse condizioni, c’è chi prova compassione per un suo simile e chi invece prova disgusto o perfino paura, tanto da sentire l’impulso di allontanarsi fisicamente o psicologicamente dal chi soffre.

Perché questo? Cosa determina la compassione in noi?

Tornando alle basi della nostra cultura, secondo Aristotele la compassione è un’emozione che si basa su tre requisiti:

1. la sofferenza altrui non deve essere banale,

2. la persona che soffre non lo merita

3. e la consapevolezza che anche noi, o chi amiamo, potremmo soffrire nello stesso modo per cause analoghe.

Se consideriamo questi punti con attenzione, è evidente che la compassione dipende dal giudizio dell’osservatore, quindi dalla sua capacità di giudizio, quindi dalla sua valutazione della realtà, dalla sua capacità di immaginarsi nei panni dell’altro, e dalla comprensione del dolore dell’altro.

Tu cosa ne pensi?

Lungo la storia occidentale, il concetto di compassione è stato spiegato e reinterpretato in molti modi diversi e perfino contrastanti, specialmente dalla filosofia: per esempio Schopenhauer considerava la compassione come base dell’azione morale, mentre Nietzsche vedeva la compassione come un sentimento religioso condannabile in quanto intralcia la naturale legge dello sviluppo. Con l’avvento di Darwin e delle teorie evoluzionistiche, la compassione è apparsa in contrasto con l’istinto di sopravvivenza e il principio del piacere/dolore (rifuggiamo il dolore e cerchiamo il piacere), ma gli studi più moderni hanno svelato come la compassione sia in realtà un vantaggio per la sopravvivenza e l’evoluzione della specie e dell’individuo, nello stesso modo dell’altruismo.

La psicologia e la biologia ci spiegano come la compassione si basi sull’empatia (vedi il post Empatia) e sui neuroni a specchio: un sistema di neuroni visuomotori della corteccia premotoria che in sostanza ci permettono di riconoscere le azioni altrui, dalla corsa dei giocatori durante una partita di calcio, ai movimenti dei muscoli facciali delle persone che incontriamo. Questi neuroni non solo riconoscono il movimento, ma ce lo fanno provare, cioè creano nel nostro cervello una simulazione di quello che gli altri fanno. Ora, visto che noi esseri umani esprimiamo le nostre emozioni prevalentemente attraverso il linguaggio non verbale, gesti, postura, espressioni facciali, di conseguenza i neuroni a specchio ci fanno anche le emozioni che gli altri esprimono.

Cosa ci rende capaci di provare compassione?

Empatia e neuroni a specchio sono i primi requisiti per poter provare compassione per il dolore di un altro essere umano, ma come abbiamo già visto, sono richieste anche un minimo di immaginazione, per permetterci di immedesimarci negli altri, attenzione al mondo attorno a noi e agli altri, per poter percepire la realtà e il dolore altrui, consapevolezza, per poter comprendere il dolore che l’altro sta provando, e uno stato mentale ed emotivo disponibile o aperto, che tradotto in breve significa l’assenza di emozioni come paura, collera, tensione e stress che ci rendono insensibili, ci distraggono, ci isolano dagli altri, distorcono la nostra visione della realtà.

Questo sentimento è sempre uguale?

Scienza e cultura occidentale non fanno distinzioni particolari, anzi, confondono compassione e pietà, mentre la cultura orientale distingue tre tipi di compassione:

1. quella verso i parenti e le persone care, originata e influenzata dai sentimenti che ci legano;

2. quella verso gli “esseri” che soffrono, più che compassione pietà, un confronto con il dolore e la sgradevole realtà;

3. quella fondata sulla comprensione e il rispetto, priva di pregiudizi, quando ci rendiamo conto che gli altri sono come noi.

I primi due tipi sono compassioni “emotive”, legate all’altro o all’ego, mentre la terza è quella che il buddismo considera una delle massime espressione di amore spirituale e ritiene scaturisca da:

1. empatia, cioè la capacità di riconoscere, comprendere e condividere le emozioni altrui

2. impermanenza, cioè la comprensione che tutto passa, muore o finisce

3. interdipendenza, cioè che siamo parte di qualcosa di grande e condiviso e non individui soli

4. reciprocità, cioè la comprensione che siamo legati da altro e non solo dai legami di sangue

5. consapevolezza che tutto è uno, parte di qualcosa di grande

6. lassenza dellego.

Concludendo

La compassione è un sentimento di partecipazione alla sofferenza altrui, che fiorisce spontaneamente dall’empatia, ma che richiede altri ingredienti, come immaginazione e attenzione verso gli altri, per esprimersi. E se col tempo e l’esperienza, aggiungiamo la consapevolezza, di sé, degli altri, del dolore, del mondo, allora la compassione può diventare qualcosa di più, che alcuni chiamano amore.

Grazie per avermi seguito fin qui, mi scuso per essermi dilungato. Ti lascio con una domanda a cui non ho ancora trovato risposta soddisfacente: secondo te come sarebbe il mondo senza compassione?

A presto ;D